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Cardani 500 tre cilindri – una famiglia Italiana

Cardani 500 tre cilindri

Daniele Fontana, un appassionato di moto

abile nell’uso del tornio e di qualsiasi altro attrezzo o attrezzatura che si poteva trovare in un’officina ben fornita, inizio’ nel 1966 a costruire la sua moto, finendola nel 1968.

Cardani 500 tre cilindri, in una foto dell’epoca

Questa moto, desiderata, costruita, voluta, non venne finita, per due motivi

venne “accantonata” per tanto tempo per pressanti impegni lavorativi, e (più di tutto) perche’ colui che la creò fu portato via da un infarto.

Lui, famoso per i suoi “freni da corsa”

Molti appassionati, non solo quelli dell’epoca, la Sua, lo ricorderanno per essere stato uno dei migliori costruttori di freni, quelli a tamburo, in Electron a quattro ganasce.

Quelli che venivano montati su tantissime moto

da competizione e non, quelli che in molti si fanno ricostruire o “imitare”, ex novo, quando decidono che la propria moto debba assomigliare o essere identica a quando fu prodotta.

Con Lui lavoravano anche la moglie, Elda

non era in un ufficio, ma con Lui, nell’officina, sapeva usare ogni cosa che vi fosse contenuta, con loro anche la figlia Susy.

Una famiglia e un tornitore, erano il cuore dell’officina

pochi i dipendenti nonostante il molto lavoro dovuto alle tante richieste, provenienti da costruttori, piloti professionisti e/o amatoriali, da tutto il mondo.

Una famiglia completamente concentrata sulla produzione di quei freni, subissata di richiesta da ogni parte del mondo.

Nei momenti di pausa, seppur fossero rari, il Signor Fontana voleva realizzare il SUO sogno, una moto da competizione da tre cilindri.

Cardani 500 tre cilindri, “nuda” priva delle su bellissime carenature.

Propose questa sua idea ad alcuni amici

a rispondergli furono Carlo Savarè, imprenditore nel settore bevande, e Jack Findlay allora noto pilota, un australiano.

Ci vollero due anni, dal 1966 al 1968 per riuscirci, alla guida Findlay, il circuito quello di Montjiuch a Barcellona, per il Gran Premio di Spagna, l’anno il 1968.

La moto sembro’ dare ottimi segnali, ma ciò nonostante il pilota australiano preferì correre con la Sua Matchless, non sentendosi sicuro, non trovando la moto ancora “pronta”.

Fece, giusto per la cronaca, un’ottima gara, finendo secondo dietro ad Agostini.

Nel 1965 Agostini vinse il suo primo mondiale, giusto per ricordarcelo.

Tornano a casa, con molte informazioni che non avrebbero mai avute se non ci avessero provato, in pista capirono che la moto si surriscaldava molto, e la lubrificazione non era ottimale.

Il surriscaldarsi era un problema molto importante, proseguendo a leggere ne comprenderete i motivi.

La produzione dei freni doveva continuare, era la loro vita, il loro lavoro

i tempi morti erano spesso un’utopia per il Nostro Fontana, tanto da riuscire a dedicare pochissimo tempo allo sviluppo della sua moto.

Ma i suoi due amici/soci continuavano a spronarlo , ci credevano molto in quella moto, Findlay lo convinse a portarla a Monza per testarla nuovamente, il test diede buoni risultati, rendendo il pilota molto ottimista, ma……….

L’officina si spostò, ingrandendosi, alla produzione di dischi a tamburo si affiancò quella dei freni a disco, la moto venne messa lì, in una parte della nuova sede, con la speranza che un giorno……

Lì ci rimase a lungo, sino a quando non venne acquistata da un appassionato, lo stesso che la restaurò……

Cardani 500 tre cilindri, una storia italiana, di quelle che mi (ci????) piacciono tanto

provo ad immaginarli nel box di un circuito

i tre amici, la moglie e la figlia come supporto morale, intenti a capire i perchè si scaldasse tanto, divertendosi insieme, desiderosi di riuscire a realizzare un sogno, facendolo insieme…….

Quella moto con il suo telaio “inglese”, con i freni prodotti dalla famiglia Fontana, nella loro officina, con un motore……..

Un tre cilindri, raffreddato ad aria, in magnesio, quasi tutto in quel materiale.

Cardani 500 tre cilindri, in questa foto e’ ben visibile il motore, con caratteristiche tecniche da guardarsi e leggersi con attenzione

Lui lo conosceva bene

sapeva quanto fosse leggero, solido, “elastico”, non vide perchè non utilizzarlo per realizzare la testata, i cilindri, la cartella della trasmissione primaria, ed altri parti del motore.

L’Elektron, una lega di magnesio

con percentuali di magnesio, zirconio, alluminio, argento e zinco, con un peso specifico molto più basso rispetto ad altre leghe, i componenti e elencati erano presenti in percentuali variabili a seconda dell’uso al quale era destinata.

Va sottolineato che e’ un materiale molto difficile da lavorare

anche per via di una estrema infiammabilità, e’ soggetto a forte ossidazione che rischia, nel tempo, di comprometterne le caratteristiche meccaniche.

I cavalli erano 75 a 13.000 giri, due gli alberi a camme, comandati da una cascata di ingranaggi alloggiata in una cartella, molto stretta, visibile sul lato destro.

La punteria era a bicchiere, in acciaio

le valvole, da 28 mm. quelle di aspirazione, e da 26,5 quelle di scarico, con uno stelo da 5mm. per entrambe.

I ruttori d’accensione erano posti a sinistra, all’estremità dell’albero a camme d’aspirazione, a tetto con candela centrale

Le camere di combustione e la testata in unica fusione, i cilindri erano singoli ognuno dotato di una canna riportata in ghisa.

In ogni cilindro c’era un pistone stampato, collegato alla biella con uno spinotto il cui diametro era di 16mm.

Il pistone, montato sul motore della Cardani 500 tre cilindri,

aveva un cielo non piano presentava una sorta di “cupola” centrale, serviva per raggiungere un elevato rapporto di compressione, ottenuto grazie ad un angolo elevato fra le valvole.

La pompa dell’olio

era posizionata lateralmente alla cartella degli ingranaggi della distribuzione, molto in alto, come passasse l’olio era ben visibile, da dei tubi esterni.

La trasmissione primaria, ad ingranaggi

sul lato sinistro, dotata di una frizione a dischi multipli a secco, il cambio a sei o sette rapporti.

Veniva montato quello considerato più “adatto” a seconda dei momenti e dei circuiti.

Il telaio, a doppia culla, di fabbricazione inglese, come la forcella.

La cosa che più mi rattrista e’ il sapere che questa moto artigianale non abbia avuto un seguito, non sia stata testata  e sviluppata come meritava.

Una famiglia Italiana

Fonte: la mia biblioteca