Anni 50 e il design italiano.
Su questo decennio ognuno di noi ha letto qualcosa, o si può ricordare un particolare brano di un libro, magari uno di scuola.
Quando il numero di auto ed elettrodomestici iniziarono a diffondersi veramente, quando il tenore di vita medio crebbe di più rispetto ai decenni precedenti; specie quelli più „vicini“ ai due conflitti bellici; esattamente quando furono gli stessi designer a voler creare delle nuove sinergie con delle aziende, o in taluni casi a fondarne loro stessi di nuove e spesso facendolo in team, affinché molte delle loro idee non fossero più modelli unici, ma prodotti e resi visibili ad un maggior numero di persone.
Credo assolutamente che quell’importante incremento nelle richieste.
Quelle che invogliarono alcune fra le tante aziende storiche ad orientarsi si su nuovi prodotti, ma soprattutto nel dover cambiare in parte le proprie “linee” facendone nascere di nuove, con una “nuova visione” sul concetto e fare del design, rendendolo il più possibile attuabile e coerente con i nuovi desiderata di così tante persone/clienti, “staccandosi” appunto da quell’essere spesso pura espressione di un estro e/o rimanere “fine a se stesso”.
Dalle mie frequentazioni cartacee, in mercatini di vario genere, dialogando con altre persone, ho sempre avuta la convinzione che il decennio ‚50 sia stato il vero viatico per ottenere certi risultati, il decennio che ha dato la spinta a tutti i successivi.
Anni 50 e il design italiano, le collezioni.
Un nuovo termine che indentificò subito un certo tipo di prodotto e la sua gamma di appartenenza, comprendendone anche alcuni che potevano sembrare „“superflui/meno indispensabili““; per pochi diremmo; citerei ad esempio il secchiello del ghiaccio di Bruno Munari del 1954 prodotto da Zani & Zani, che trovo particolarmente interessante.
Anni 50 e il design italiano, il settore elettrodomestici stava registrando una crescita vertiginosa.
Con prodotti che spesso superavano nei numeri quello che per molti poteva sembrare il più importante; la televisione; che con l’arrivo di frigoriferi, forni elettrici, cucine a gas, esplose nei numeri, con tutti molto richiesti e finalmente prodotti in grandi numeri.
Le cucine delle case di molti italiani iniziarono a dotarsi di molti fra quegli elettrodomestici visti in TV, nella casa di amici o su una rivista, a crescere di più nei numeri furono il frigorifero e la televisione, seguiti dalla lavatrice e la nuova cucina a gas.
Con l’arrivo anche di nuovi strumenti.
Capaci di accelerare e rendere meno pesanti alcuni lavori svolti in casa, lucidatrici, macchine da cucire più piccole ed elettriche, tostapane, ventilatori, quando c’era “l’economia domestica”.
Ricordo quando da piccolo andai con mio nonno da una sua cliente che lavorava in casa, nel tinello dove aveva la sua nuova macchina da cucire elettrica che le aveva venduta lui, quando si lavorava e tanto in casa, quel tipo di „indotto familiare“.
I designer iniziano ad occuparsene anche loro.
Invogliando molti italiani a modificare quella spoglia fila di elettrodomestici oramai datati e fargli pensare ad una cucine componibile; con tutto incassato ed ordinato; per poi magari andare in uno dei nuovi salotti e li vedere anche la TV Phonola 1718, che non era più appoggiata sempre e solo sul „mobile buono“ dove spesso si trovava anche una mastodontica radio.
Oltre ai molti designer ed aziende già citati domenica scorsa ne emersero altri e personalmente citerei ancora Giulio Castelli (Kartell) e Adriano Olivetti.
Anni 50 e il design italiano, un decennio in cui due prodotti diventarono essenziali.
Il petrolio ed un suo derivato la plastica, con il primo che con benzine, gasolio e gas, divenne il propellente per i macchinari, il suo derivato fra i principali materiali per involucri, parti interne ed esterne di molti fra gli oggetti trovabili nei negozi di allora.
Se rompevi il guscio esterno di un dato prodotto ne potevi acquistare uno nuovo.
Con prezzi decisamente più ridotti rispetto a quelli che ne montavano uno in metallo; che oltre ad essere più caro era anche spigoloso; diventarono così più leggeri ed economici e quasi subito beni di largo consumo usufruibili da un ben maggior numero di persone, quando prima erano spessissimo beni strumentali per pochi.
Olivetti disse, una macchina da scrivere non deve più essere un gingilllo da salotto, ma finalmente qualcosa di utile per tanti.
Per andare a lavorare o nei negozi ci si poteva spostare con la propria auto, una utilitaria magari, una fra la Nuova Fiat 500 (Dante Giacosa 1957) o la 600 (1955), l’auto iniziò così a diventare per tutti ed anche per chi decise di vendere o utilizzare meno la propria Piaggio Vespa ( design Corradino d’Ascanio 1946) o la Lambretta Innocenti (design Pierluigi Torre e Cesare Pallavicino, 1947), ci si spostava di più e meglio, riuscendo a raggiungere mete ben più lontane rispetto a quanto si potesse fare prima.
Con alcuni Carrozzieri italiani che proposero alcune fra le auto più belle e ricordabili, ed io oggi vorrei farlo con una Alfa Romeo ed una Lancia.
Anni 50 e il design italiano, magari invogliati da una pubblicità vista in tv con il Carosello.
O su uno dei tanti cartelloni affissi lungo una strada, anche la pubblicità stava cambiando, diventando uno strumento molto più funzionale e fondamentale rispetto al decennio precedente.
Anni 50 e il design italiano, nuovi materiali.
Con l’impiego della Gommapiuma, vimini, plastiche, che in se oltre ad essere più duttili erano nella maggior parte dei casi molto più economici riparabili e sostituibili.
Anni 50 e il design italiano ed i colori.
Si passò da una quasi uniformità di tinte all’impiego di una serie di colori, presenti anche in una lampada da tavolo o un mobiletto per il tinello ma senza mai esagerare, senza mai raggiungere i livelli visti pochi decenni dopo, negli anni ‚70.
E magari ricordando quanti siano i tanti fra quei mobili ed oggetti ad essere stati riprodotti nuovamente, o che io o Tu abbiamo cercati in un mercatino o un’asta su internet.